Governare la trasformazione digitale in azienda. Tra Scilla e Cariddi*

La trasformazione digitale delle imprese, delle pubbliche amministrazioni, delle associazioni, ha confini che si intrecciano e si confondono con la trasformazione delle nostre vite di cittadini, di membri di comunità, di componenti di famiglie e di persone vere. Con le tecnologie digitali cambiano le organizzazioni, cambia il lavoro e cambiamo noi. Ma non ci sono deterministici effetti organizzativi e sociali delle tecnologie.

Copertina Governare trasformazione digitaleLe tecnologie digitali sconvolgono sì l’esistente, ma è solo la progettazione (e la correlata realizzazione e sviluppo) quella che disegnerà le nuove organizzazioni, imprese, città, territori, piattaforme produttive, la quantità e il valore del lavoro e in definitiva la qualità della vita delle persone. La progettazione (e realizzazione) avrà come oggetto insieme tecnologie, organizzazione, lavoro, competenze, fra loro integrate. Questo approccio ribalta l’attuale prevalente dibattito sulla digital transformation and disruption: passare dalla contemplazione e previsione degli effetti delle tecnologie alla progettazione e sviluppo integrata e partecipata.
Le soluzioni e i percorsi della digital transformation o della digital disruption sono oggi fra le principali aree di preoccupazione e di responsabilità di chi dirige organizzazioni complesse, spesso combattuti fra la Scilla del totale affidamento ai fornitori di tecnologia, e la Cariddi della conservazione e della resistenza al cambiamento delle strutture e delle persone cresciute entro modelli organizzativi e culturali burocratici e fordisti. Essa è anche oggetto di studio di tutte le discipline manageriali e del lavoro, anch’esse oscillanti tra le ricerche accademiche e gli hypes e le magic words della retorica manageriale. Una navigazione sicura è invece quella di pianificare e progettare il cambiamento integrato e partecipato, e di gestire il cambiamento strutturale e culturale nel suo sviluppo e nella sua concretezza avvalendosi della partecipazione e crescita professionale e umana delle persone. Una navigazione non facile perché minacciata continuamente da irruenti variabili esterne e interne alle organizzazioni. E a differenza di Ulisse e del capitano Tom MacWhirr del Tifone di Conrad, il problema non è solo quello di uscire al più presto dall’area di turbolenza, ma di essere resilienti navigando su lunghe tratte cambiando quando e quanto serve la strategia, la struttura dell’imbarcazione, il lavoro e le competenze delle persone.

Apprendere da un caso. Questo libro curato da Eugenio Nunziata racconta un caso di digital transformation di una grande organizzazione in cui tutto questo è stato voluto e realizzato: un caso di joint design of technology, organization and people growth. La Direzione Sistemi Informativi viene incaricata di attivare e governare impegnativi processi di digitalizzazione dell’intera azienda, e la narrazione di questa esperienza è affidata a coloro che questo cambiamento lo hanno realizzato, adottando l’approccio dello storytelling. Un caso la cui identità il curatore svelerà solo alla fine del volume, proprio per segnalare il carattere paradigmatico delle soluzioni e del processo attuato, soluzioni e processo applicabili anche in diverse organizzazioni pubbliche e private.

Lo storytelling. La narrazione nel volume avviene prevalentemente attraverso le testimonianze di chi ha realizzato il cambiamento, proponendo la varietà non solo di competenze e responsabilità funzionali, ma soprattutto il vissuto personale e sociale di chi non ha operato solo per svolgere un task specifico ma ha partecipato ad un complesso e periglioso viaggio di cooperazione. Lo storytelling così diviene non solo una tecnica narrativa ma una testimonianza del processo stesso di costruzione dell’organizzazione. La progettazione del sistema organizzativo è due cose fra loro intrecciate: da una parte un artefatto, ossia una nuova struttura e configurazione di tecnologia, organizzazione, lavoro, che può essere descritta, misurata, gestita, con il relativo cambio di modello da una macchina a un organismo, da un castello a una rete; dall’altra, un processo attraverso il quale si cambia e si costruisce quell’artefatto ed in cui meccanismi sociali, cognitivi, economici, tecnologici creano e costruiscono essi stessi le organizzazioni, mostrando la generatività dell’azione sociale.

Il modello di cambiamento. Come scrive Nunziata i punti chiave del progetto sono stati una visione strategica condivisa, un’accurata gestione dello sviluppo organizzativo, la partecipazione bottom-up nella ricerca delle soluzioni, l’attivazione di processi di apprendimento e di sviluppo culturale, la sperimentazione di soluzioni innovative. Tutto ciò ha messo in moto meccanismi virtuosi di empowerment organizzativo, creando le condizioni affinché le persone potessero esprimere il proprio potenziale e agire comportamenti nuovi e più efficaci, con un conseguente incremento della capacità realizzativa necessaria per centrare gli obiettivi strategici. Questo ha reso possibile non solo il superamento di resistenze al cambiamento ma ha messo in forma l’esito del cambiamento stesso.

Il change management strutturale. Change management non è vincere le resistenze al cambiamento ma è progettualità e partecipazione del sistema sociale a tutti i livelli: esso costruisce non solo le dimensioni formali delle organizzazioni (organigrammi, processi, mansionari) ma quello che io chiamo “organizzazione reale” che sta sotto la punta dell’iceberg (teams, comunità di pratiche, sistemi professionali, culture, valori, rappresentazioni, aggregazioni sociali e molto altro). Il tutto con l’aiuto delle tecnologie digitali. Un raccordo fra le evidenze che emergono dalle narrazioni dei protagonisti e i modelli interpretativi disponibili in letteratura in tema di governance dei processi di digital transformation e change management è il contributo offerto nel volume da Cristina Alaimo e Luca Giustiniano. Per essi la trasformazione digitale è resa possibile solo quando le organizzazioni riescono a governare il cambiamento portato dalla tecnologia, attraverso la riprogettazione strategica delle forme o dei modelli dell’organizzazione.

Il metodo clinico e la ricerca intervento. A monte di ogni iniziativa, di ogni intervento descritto in questo volume si è curato che ci fosse sempre uno sforzo di comprensione, di “ricerca”: comprendere attraverso l’analisi di campo il contesto, gli interessi in gioco, i processi, i meccanismi operativi, la cultura organizzativa, il sistema sociale, trasformando quote consistenti degli attori in gioco in agenti di cambiamento, come scrive Eugenio Nunziata. È il metodo della Ricerca Intervento da lui evocato, che distingue il processo seguito in questo caso dalle tradizionali procedure consulenziali. Perché la ricerca intervento invece della consulenza? L’approccio consulenziale classico è un percorso di trasferimento di soluzioni oppure di accompagnamento di pratiche note: in questo caso non è apparso sufficiente, perché le tecnologie digitali inducevano un radicale mutamento di tipo o paradigma organizzativo e perché il percorso in quella grande organizzazione seguiva sentieri non convenzionali. Occorreva combinare il cambiamento pianificato top-down e la sperimentazione bottom-up dell’organizzazione. Occorreva sviluppare ottimizzazioni congiunte di tecnologia, organizzazione, sistema sociale. Occorreva far convivere diversi criteri e parametri economici e sociali non sempre ben formalizzati.

* tratto dalla Prefazione di Federico Butera al nuovo libro curato da Eugenio Nunziata, Governare la trasformazione digitale. Strategia e azione per gestire il cambiamento, Luiss University Press, 2020

Tags: innovazione e project management, change management, Eugenio Nunziata

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