Il gap dell'Italia sulla qualità della vita di lavoro

I contesti lavorativi che frequentiamo oggi più che mai non eccellono in termini di vitalità, innovatività, vivacità culturale, ne in termini di occasioni di scambio, cooperazione e sviluppo di conoscenza. Una indagine europea fotografa bene la nostra percezione riguardo la qualità della vita di lavoro

(http://www.eurofound.europa.eu/ - 2006 quarta indagine europea sulle condizioni di lavoro) :

  • I lavoratori in Italia sono meno soddisfatti delle loro condizioni di lavoro rispetto alla media dei lavoratori europei.

  • Un lavoratore italiano su due (51%) godrebbe di sostegno e assistenza da parte dei colleghi rispetto ai due lavoratori su tre (67%) nel resto dell’Europa.

  • L’assistenza da parte di un superiore gerarchico è ancor peggiore, il 34% rispetto al 56% per l’UE25.

  • Solo quattro lavoratori italiani su dieci (39%) riferiscono che il loro lavoro comporta una costante collaborazione di gruppo, rispetto ad una media di oltre cinque lavoratori su dieci (55%) nei rimanenti paesi dell’Unione europea a 25.

  • Solo un lavoratore su cinque si è vista offrire una formazione sulle competenze professionali nei 12 mesi precedenti.

  • Un numero significativamente più levato di lavoratori italiani (27%), rispetto al resto dell’Europa (22%), menziona lo stress quale sintomo sanitario principale connesso al lavoro.

E' d'obbligo una riflessione :

In Italia negli ultimi cinque anni vi è stato un deterioramento delle condizioni di lavoro rispetto al resto dell’Europa ? Non abbiamo abbastanza cura delle persone ?  Oppure – da un’altra prospettiva – i nostri contesti lavorativi non sono al passo con i modelli gestionali e organizzativi delle altre imprese europee? Facciamo abbastanza per innovare l’organizzazione del lavoro ? Come si interviene ?
Spesso si confonde il fine con il mezzo. Si lavora molto sulle persone per assecondarle e svilupparne le capacità di sopravvivenza nelle loro organizzazioni, o ancora più spesso ci si crogiola nella illusione tecnologica, ma non si lavora abbastanza sull’“organizzazione” per farne un contesto capace di abilitare le persone e liberare il potenziale inespresso.

Manca una idea forte e unitaria delle strutture, dei processi e delle tecnologie, dei ruoli e dei profili di competenza, dei sistemi gestionali e dei meccanismi di coordinamento, che consenta di governare unitariamente e rendere efficace ed efficiente l’organizzazione.
E più ci si addentra nel funzionamento delle componenti elementari, come le microstrutture, i processi, i ruoli, i gruppi, più ci si imbatte in un magmatico moltiplicarsi di variabili in gioco.

Ma quanto il management è consapevole di questi fenomeni? e dispone delle competenze sufficienti quantomeno per riconoscere il problema ? E noi che vorremmo essere portatori di approcci, metodi, soluzioni per creare contesti organizzativi appropriati e consapevoli, siamo pronti a fornire le risposte giuste ?

Tags: innovazione e project management

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