La crescita che non c’è : “Bisogna essere più severi con la classe imprenditoriale e manageriale”

Severino Salvemini - che noi tutti riconosciamo essere un autorevole riferimento nell'ambito delle discipline manageriali - ha messo il dito nella piaga :“mettere al centro le debolezze delle singole imprese e le responsabilità di chi queste imprese è chiamato a governarle e gestirle”.
Occorre ci si convinca che a livello “microeconomico” si concentrano buona parte delle cause della scarsa produttività del sistema e della scarsa crescita; resta comunque sul piano “macro” la esigenza di una seria politica economica, dopo molti anni di totale assenza di iniziativa governativa. Quali leve una politica economica deve saper muovere per orientare i comportamenti di quote significative di imprenditori ? Vogliamo sperare nessuno creda che tutto ruoti unicamente attorno al costo del lavoro ed alle normative del lavoro. Dice Salvemini : 
“Lo sviluppo economico del Paese è bloccato dalla dinamica delle imprese. Imprese con una struttura dimensionale troppo piccola per poter reggere la competitività del mercato globale.….. è ormai chiaro che il meccanismo si è inceppato e che il localismo territoriale non è in grado di sostituire la debolezza di una azienda italiana nanerottola e senza fiato….Sull’approfondimento delle cause e sulle eventuali terapie siamo però ancora in alto mare…..I nostri economisti (quasi tutti macro; ma il micro qualcuno l’ha mai osservato da vicino?) hanno imboccato una pista interpretativa quanto meno parziale, per non dire distorta. Perché le imprese crescono poco? ….. le imprese non crescono e non guadagnano per fattori esogeni. E, sulla base di questo convincimento, si imbastiscono e si macinano consigli e policies di tutti i tipi per attivare crescita e sviluppo. Analisi molto lontane dai comportamenti delle aziende. Sguardo alla foresta, ma incapacità di vedere i singoli alberi. E anche analisi pericolose perché giustificanti la razionalità di chi poi scappa all’estero piuttosto che resistere e lottare.
Nell’economia reale infatti il gioco non si fa solo sulle condizioni esterne, ma si conduce prevalentemente sulle scelte interne, sui processi di impresa, sulle mosse aziendali, sugli acumi del top management. Aspetti che nell’ultima decade hanno determinato lo smarrimento nelle decisioni e il tentennamento dei gruppi dirigenti impauriti e senza visioni, tutti in attesa di condizioni di business environment, appunto, più favorevoli. ….
Siamo indietro internamente, cari scienziati dell’economia politica! Possiamo anche trovare le buone regole per la foresta, ma gli alberi se non hanno buone radici e buoni propellenti non riusciranno mai a raggiungere le alte vette. Le imprese italiane hanno oggi comportamenti tardivi rispetto alle loro cugine internazionali. Le strategie sono troppo poco determinate e affini a convenienze di breve termine; gli sviluppi del capitale umano sono basati su investimenti formativi esili che producono competenze poco originali e distintive …; i disegni organizzativi sono rudimentali e burocratici; il management è in gran parte autoreferenziale e poco mobile e scarsamente orientato al rischio e all’apertura; la governance aziendale si tramanda senza confronti e inclusioni esterne, con estensioni di patti di controllo, piramidi societarie e forme di potere insindacabile; la creatività di cui tanto si parla nello stivale del bello e del ben fatto non è altro che un pizzico di ritocco incrementalistico senza strappi di discontinuità o di radicale innovazione. Il tutto condito da una scarsa patrimonializzazione, resa ancora più traballante dalla fuga dei cosiddetti animal spirits, che durante la crisi hanno preferito la rendita immobiliare alla scommessa manifatturiera.
Bisogna essere più severi con la classe imprenditoriale e manageriale….. Serve un nuovo ripensamento del modello aziendale, oggi decisamente incongruo rispetto al fabbisogno contemporaneo di competitività. Meno concentrazione dunque su eventi congiunturali, su politiche pubbliche e su contesti regolativi, e più al centro le debolezze delle singole imprese e le responsabilità di chi queste imprese è chiamato a governarle e gestirle. E non sarà certo la polemica sul mercato del lavoro o sui possibili aiuti di Stato ad agevolare il rilancio aziendale.”

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