Missione sociale e rischi di autorefenzialità nelle organizzazioni del terzo settore*

Il recente Codice del Terzo settore si preoccupa all’art. 4 di esplicitarne in modo chiaro la missione: “perseguire finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale”. L'economia sociale per consuetudine la si rende riconoscibile attraverso le attività poste in essere nel Terzo settore e da un insieme consistente e diffuso sul territorio di formazioni e reti civiche, oltre che da attività di lavoro volontario non retribuito.

A guardar le statistiche ci sarebbe ragione di essere soddisfatti. L’Italia è al secondo posto fra i maggiori Paesi. Il mondo del Terzo settore cresce, ma al suo interno convivono molte contraddizioni. Tab. Statistiche Terzo settoreRitroviamo in esso soggetti con finalità e profili valoriali e organizzativi molto differenziati che non sempre appaiono funzionali alla missione di partecipazione e rappresentanza che la Costituzione affida ai cosiddetti Corpi intermedi. Da un lato una miriade di piccole comunità associative di base, senza dipendenti, che vivono delle quote associative e di raccolta fondi, capaci di mobilitare energie dal basso intorno a obiettivi o interessi socialmente rilevanti. Dall’altro, organismi di maggiori dimensioni che si propongono obiettivi e finalità da “quasi impresa”, producono beni e servizi di alto valore sociale, sviuppano occupazione, in cui i sistemi di governance, deputati a garantire partecipazione e rappresentanza delle basi associative, devono convivere con tecnostrutture manageriali solide. Alcuni giuristi segnalano come oramai in dottrina sia normale parlare di “societarizzazione” degli enti del Terzo settore, per come spesso si rinvia a molte regole del Libro V del Codice civile sulle società. Situazioni molto ibride.

Lo spostamento del baricentro del potere può snaturare la missione di una organizzazione non profit

Ma c’è altro che sta emergendo in questa fase attuativa della Riforma del Terzo Settore. Gli organismi iscritti nei registri preesistenti stanno trasmigrando in quello nazionale (RUNTS). Le stime elaborate in uno studio Labsus, indicano che, in linea tendenziale, solo una parte degli organismi non profit che avrebbero facoltà di farlo, entreranno nel RUNTS, saranno riconosciute come Enti di Terzo Settore (ETS) e quindi avranno la possibilità di cogliere le opportunità disposte dalla Legge di riforma. Si stima possano essere meno del 38% delle realtà non profit censite dall’ISTAT, e comunque difficilmente supereranno la metà delle realtà attualmente iscritte nei registri regionali.
Ci saranno molti organismi associativi che rimarranno fuori dal RUNTS, per una varietà di cause: scarsa consapevolezza delle conseguenze, deficit di competenze per gestire le procedure, o perché non hanno potuto o voluto collegarsi ad alcuna rete regionale o nazionale, o semplicemente perché piccole, disperse o non rintracciabili.
Eppure, solo gli enti iscritti al RUNTS potranno proseguire, e anche sviluppare, quella funzione di rappresentanza di interessi nel rapporto con la pubblica amministrazione, in continuità con la loro storia. I non iscritti non potranno stipulare convenzioni con le pubbliche amministrazioni, ed avranno difficoltà ad accedere a contributi pubblici per le loro iniziative, e a essere riconosciuti ai tavoli istituzionali come soggetti rappresentativi di interessi collettivi.
Ma se per decenni tantissime organizzazioni civiche e non profit hanno operato sul territorio, con la loro capacità di mobilitare energie ed essere utili nel perseguire le finalità per cui sono stati costituiti (gestire beni collettivi, assistere chi ne ha bisogno, produrre servizi, dalla scuola alla sanità, ecc.), perché in futuro il fatto di non essere iscritte al RUNTS dovrebbe determinare l’impossibilità di proseguire la propria attività? E, in tal caso, che cosa comporterà questa assenza per il Terzo settore e per le comunità ed il territorio?
È comprensibile che ora tutte le attenzioni di chi si occupa di Terzo settore siano concentrate su una celere attuazione formale e procedurale del RUNTS. Ma si spera che non si arrivi troppo tardi ad affrontare e correggere le conseguenze sostanziali che comporterebbe un tale scenario.

I sistemi sociali che muovono queste organizzazioni “fluide” non sempre si prestano ad essere ricondotti a rigidi schemi giuridico-formali. Piuttosto, ci si dovrebbe preoccupare di regolare con maggiore attenzione i meccanismi di governance all’interno di tali organismi, per rendere più trasparenti le modalità di partecipazione, rappresentanza, e tutela degli interessi di tutti gli stakeholders (associati, donatori, utenti, volontari). Ci si dovrebbe preoccupare di moltiplicare le occasioni di collaborazione attiva con le Istituzioni locali, basata su co-programmazione e co-progettazione delle politiche pubbliche.

* Tratta dalla versione più estesa pubblicata dall'autore:  Nunziata E., "Il Terzo settore ha una missione da preservare", LaVoce.info, 14/07/2023

Tags: sostenibilità e corporate responsibility, change management, Eugenio Nunziata

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